Tokyo Decadence di Murakami Ryū: racconti di un Giappone da fine impero

Tokyo Decadence di Murakami Ryū: racconti di un Giappone da fine impero

Il boom del Giappone tra anni ’60 e ’80 ha contribuito alla creazione di molti dei prodotti più iconici di quei decenni, spesso rimpianti come un’età dell’oro. Ma già all’epoca si sono distinte voci critiche verso l’orizzonte alienante di quel periodo di crescente consumismo. Murakami Ryū probabilmente è l’autore più rappresentativo di questa corrente. L’abiezione e la violenza che caratterizzano il suo Tokyo Decadence sono il perfetto controcanto della narrazione solare di quella presunta età dell’oro.

Gli anni ’80: prima dell’esplosione della bolla

Per arrivare a Tokyo Decadence si deve partire dall’inarrestabile ascesa economica del Giappone nel secondo dopoguerra, realizzata grazie a decenni di sostegno economico e politico da parte degli USA e alla vasta e ben organizzata collaborazione fra stato e grandi aziende private. Ereditando le dimensioni e la pervasività dagli zaibatsu dell’anteguerra, i nuovi conglomerati, i cosiddetti keiretsu, si impongono in vari settori dell’economia, stimolando la versatilità produttiva del paese, ormai il principale esportatore del pianeta.

L’onnipresenza dei keiretsu contribuisce anche all’affermazione dell’industria culturale giapponese in tutto il globo. L’influenza e la permanenza nell’immaginario dei manga e degli anime, nonché dei videogiochi e dei dispositivi elettronici in quegli anni non è casuale ma è il prodotto, forse involontario, di un’economia in continua espansione. Frutto dei tempi è anche il successivo cambio di tono e tematiche di queste opere, che si avvicinano alla cupezza e violenza espressiva della nuova letteratura nata negli anni precedenti. Tale cambiamento segue la radicale trasformazione che il Giappone fronteggia all’inizio degli anni ’90, in seguito all’esplosione della cosiddetta baburu keiki, l'”economia della bolla”.

La bolla finanziaria si sviluppa a causa del successo dell’export giapponese e della sopravvalutazione dello yen conseguente l’Accordo del Plaza del 1985, un trattato tra le principali economie del mondo per ribassare il valore del dollaro in modo da favorire la ripresa delle esportazioni statunitensi. Il Giappone è il paese ad avvantaggiarsi maggiormente della situazione, il che finisce per favorire la speculazione finanziaria. Quest’ultima, insieme alla crescita disorganizzata del mercato immobiliare e a cattive scelte della Banca Centrale, provoca tra il 1991 e il 1992 il tracollo totale dell’economia del paese. Inizia così il lost decade, il primo dei decenni perduti dell’economia e della società nipponica, un’era di recessione che segue la fine del sogno dell’età dell’oro.

Il controcanto dell’età dell’oro

All’apice dell’età di benessere emergono numerose voci che divergono dall’ottimismo edonista imperante, seppure solo di rado apertamente critiche. Significativa è la svolta nel mondo letterario a partire dalla fine degli anni ’70, con l’affermazione di giovani autori che descrivono il mondo contemporaneo dominato dal consumismo con uno stile iperrealistico e frammentario, l’unico che può tradurre una realtà in continua e accelerata trasformazione. Il più celebre di questi scrittori è Murakami Haruki, che dall’esordio nel 1979 con Ascolta la canzone del vento al celeberrimo Norwegian Wood realizza una serie di intimisti e spesso nostalgici ritratti di una gioventù in fuga da un mondo divenuto incomprensibile.

Oltre alla quasi altrettanto nota Yoshimoto Banana, la quale esordisce nel pieno della bolla economica con Kitchen, un altro autore fondamentale è Tanaka Yasuo. Il suo romanzo del 1981 Quasi simile a cristallo, subito definito il simbolo della nuova letteratura generazionale, è caratterizzato dall’ossessiva quantità di dettagli relativi a marche e oggetti che rappresentano il nuovo orizzonte valoriale di quegli anni. Nel frattempo, anche in altre aree dell’industria culturale si assiste a un significativo ricambio generazionale. Sono gli anni in cui si affermano, ad esempio, animatori come Miyazaki Hayao e Takahata Isao o mangaka del calibro di Nagai Gō e Ōtomo Katsuhiro, tutti fautori di grandi cambiamenti nei rispettivi ambiti mediatici.

Murakami Ryū: tales from the other side

Uno dei primi a rappresentare il cambiamento sociale e culturale in atto è Murakami Ryū, che esordisce nel 1976 col romanzo Blu quasi trasparente. A questa odissea urbana di giovani decadenti, best seller che si aggiudica il prestigioso Premio Akutagawa, seguono altre opere tanto apprezzate quanto criticate per la freddezza dello stile e l’assenza di censure. Romanzi successivi come Coin Locker Babies esasperano una realtà già cruda con sezioni surreali e dialoghi allucinati, rimarcando il distacco tra un presente sempre più incomprensibile e un passato insondabile, forse perché mai vissuto realmente e proprio per questo percepito attraverso il velo della malinconia. Al riguardo è significativo l’autobiografico 69 del 1987, nel quale Murakami rivive i tentativi di rinnovamento sociale e culturale in una città di provincia. La nostalgia è per lo scrittore forse l’unica via per sfuggire all’alienazione del presente, pur non offrendo il ritorno al passato nessun vero sollievo.

L’anno successivo il romanziere ritorna ai temi scabrosi e ai toni estremi tipici dei suoi romanzi di ambientazioni contemporanea con Topāzu. Pur essendo fra le sue opere più apprezzate, questa raccolta di racconti è stata spesso tradotta solo parzialmente, ad esempio in inglese all’interno della miscellanea di short story Tokyo Decadence, titolo che condivide con la traduzione integrale edita in Italia da Mondadori. I dodici racconti che compongono la raccolta rappresentano perfettamente lo stile di Murakami Ryū, i cui tratti sono enfatizzati dal formato breve.

Topāzu/Tokyo Decadence: due volte al di là dello specchio

La sinteticità esaspera la tendenza a mescolare registri molto diversi, con drammi introspettivi che si trasformano in storie surreali, passando per momenti quasi comici, mentre le ampie ellissi costringono il lettore a piegarsi alla struttura del racconto, laddove le protagoniste sono sottoposte a ogni sorta di prevaricazione e violenza. Le shock quindi è provocato attraverso lo stile ancor prima che attraverso il contenuto, un elenco di depravazioni tanto più disturbanti perché descritte con dovizia di dettagli ma senza nessuna partecipazione.

Una particolarità di Murakami Ryū è la spiccata sensibilità cinematografica, che traspare nella natura marcatamente descrittiva e neutra della sua prosa. Dopo aver girato nella sua giovinezza alcuni cortometraggi, lo scrittore esordisce come regista con l’adattamento del suo primo romanzo Blu quasi trasparente nel 1979. Fra le proprie opere che sceneggia o dirige figura anche Topāzu, filmato nel 1991 e distribuito l’anno successivo, proprio all’apice della crisi finanziaria causata dall’esplosione della bolla. Il film uniforma il tono dei racconti in un’unica storia, la cui cupezza può essere letta come un riflesso del momento di recessione, pur mostrando per la maggior parte del tempo una realtà in fondo immutata. Topāzu viene distribuito successivamente all’estero, ancora una volta col titolo Tokyo Decadence, in una versione ridotta, priva di alcune scene erotiche.

Figlie (e figli) della bolla

I racconti si focalizzano quasi sempre su giovani prostitute, tutte differenti per estrazione sociale e ambizioni ma accomunate dall’oggettificazione alla quale vengono continuamente sottoposte. Ne consegue la disgregazione identitaria delle ragazze, ottimamente resa attraverso la prosa dello scrittore, che indugi sull’elenco di parti anatomiche, pratiche sessuali, sex toy, reazioni fisiologiche ed emozioni basilari. Alienate dal loro stesso corpo, che è al contempo l’unico mezzo di comunicazione ed espressione che hanno, alle protagoniste di Tokyo Decadence non resta che rifugiarsi nei ricordi felici dell’infanzia o in speranze che comunque hanno instabili radici nel passato. Esse diventano così gli emblemi della nuova umanità che il consumismo e l’alienazione hanno costretto a vivere in un presente di pura ripetizione, dove non c’è possibilità di coltivare il futuro, mentre i ricordi del passato appaiono spesso falsati, idealizzati come réclame pubblicitarie.

Esemplificativo è il racconto Penlight, dove la protagonista condivide i propri ricordi con una sorta di voce che vive nella sua testa, un simbionte della cui (in)esistenza il finale induce a dubitare. Se l’identità femminile è frammentaria, come i numerosi rispecchiamenti fra le protagoniste e con altre donne lasciano intendere, nemmeno quella maschile è integra. Apparentemente padroni delle circostanze, gli uomini che costantemente umiliano e sfruttano le protagoniste sono in realtà schiavi delle loro stesse pulsioni, fomentate anch’esse dal sistema socioeconomico. Sono fasci di nervi e desideri che non assumono quasi mai rilevanza e profondità, tranne qualora interagiscano con le prostitute in maniera umana.

L’eterno ritorno dell’abiezione

Simili considerazioni sulla condizione maschile sono proferite nel film dalla maitresse Saki, esperta manipolatrice che afferma di voler rovesciare i rapporti normalmente vigenti fra donne e uomini, approfittando delle loro identità devastate. Il fatto che ciò avvenga mentre ha assunto droghe e ha appena convinto la protagonista Ai a seguire la sfortunata strada che conduce al finale, fa intuire che Saki sia solo un’altra anima confusa, a dispetto della superiorità che ostenta. Un distacco che è comunque impensabile per la giovane donna al centro di Tokyo Decadence, il cui nome significa “amore” e che condensa in sé i tratti e le vicende di molte delle protagoniste dei racconti.

Percossa e sfruttata continuamente, la ventiduenne Ai pare sospinta solo dal desiderio di rincontrare l’unico cliente che l’ha trattata con umanità, un noto artista. Si rivolge così ai ricordi, nei quali sembra costantemente persa, per evitare le sofferenze del presente quotidiano, alienandosi così in sé stessa e in un passato idealizzato. Il finale del film, ben diverso da quello del segmento conclusivo della raccolta, rimarca il destino di alienazione che l’aspetta. Privata dell’unica fantasia che la faceva andare avanti, Ai vaga in un parco, con l’unica compagnia di un’altra “donna spezzata”, per poi tornare come se nulla fosse alla sua routine di abiezione. Lo stacco è drastico ma sottolinea il pensiero di Murakami: i decenni e le situazioni economiche possono cambiare ma la traiettoria alienante del consumismo non può essere invertita.

Il futuro che abbiamo perso: dopo Tokyo Decadence

Quattro anni dopo aver diretto l’adattamento di Tokyo Decadence Murakami Ryū torna ai temi della raccolta col romanzo Rabu ando Poppu Topāzu Tū. Questo affronta in primis una delle questioni più discusse nel Giappone degli anni ’90, il fenomeno dell’enjo kōsai, l’“appuntamento su compenso”. L’elemento più scabroso di questo nuovo tipo di prostituzione, spesso privo di sviluppi esplicitamente sessuali, è la partecipazione di minorenni, disposte a uscire con uomini maturi in cambio di denaro grazie al quale garantirsi un maggiore indipendenza dai genitori. Per lo scrittore questo è un ulteriore esempio di alienazione contemporanea, e ancora una volta ne sottolinea l’immutabilità già ribadita nel film Tokyo Decadence. Il tema della difficoltà di maturare nel presente viene invece sviluppato nell’adattamento cinematografico del 1998, Love & Pop, diretto niente meno che da Anno Hideaki.

Questi adatta lo stile di Murakami girando con videocamere amatoriali e scomponendo gli angoli di ripresa e la continuity. Le vicende della studentessa Hiromi e del suo gruppo di amiche, che si dedicano all’enjo kōsai per noia e per assicurarsi la soddisfazione dei propri desideri, vengono rese con uno stile eccentrico e ricco di ellissi. Questo è lontano dalle asperità della prosa dello scrittore eppure capace di renderne al meglio lo spirito critico. Non vi è apparentemente nostalgia nelle protagoniste, totalmente proiettate verso il futuro. E per raggiungerlo, per sentirsi adulte, sono disposte ad accettare le attenzioni di uomini più anziani. Figure patetiche e spesso inquietanti, gli adulti paiono voler vampirizzare le ragazze in tentativi maldestri di distanziarsi dal proprio sé attuale e riconquistare così la giovinezza perduta. Anche il retto padre di Hiromi non fa eccezione, impegnato com’è per tutto il film a costruire un treno giocattolo.

Accelerazione e retromania

L’alienazione affligge anche le inconsapevoli protagoniste, che trascorrono la maggior parte del tempo a rimpiangere ciò che non hanno e sanno di non poter avere. La loro nostalgia segue la traiettoria del desiderio e si proietta in avanti, diventando il rimpianto di un futuro rubato. Le figlie del post-bolla non sono così diverse dalle donne che le hanno precedute, vittime di una società consumista che costringe chiunque all’alienazione. Il genio di Murakami e di Anno sta anche nell’aver anticipato alcuni tratti della nostalgia tipica della retromania contemporanea, rivolta a un passato idealizzato in quanto matrice del futuro desiderato che mai arriverà. A questo punto non resta forse che perdersi nei ricordi della propria infanzia, come fa il giovane regista al centro dell’ultimo racconto di Topāzu, in un immaginario isolamento da sé e dalle proprie prospettive.