Alla scoperta della scrittrice Ryōko Sekiguchi: la poetica e il dettaglio in “Nagori. La nostalgia della stagione che ci ha appena lasciato”

Alla scoperta della scrittrice Ryōko Sekiguchi: la poetica e il dettaglio in “Nagori. La nostalgia della stagione che ci ha appena lasciato”

La carriera della scrittrice Ryōko Sekiguchi, artista dalle molteplici sfaccettature, è ricca e sorprendente: si apre con il debutto letterario, premiato con il prestigioso Gendaishi techō shō, nel 1993 esordisce anche con la sua prima antologia di poesie Cassiopea peca. Ma è proprio grazie alle sue abilità da traduttrice interculturale che, con il suo Nagori (2018), riceve in Francia il Coup de coeur du jury du Prix Rungis des Gourmets e il Prix Mange, Livre.

Artista poliedrica, traduttrice, autrice di prosa e saggistica, poetessa e persino critica gastronomica: negli anni è chiaro l’impegno di Ryōko Sekiguchi nel promuovere vari progetti inerenti il rapporto tra letteratura e cucina, soprattutto giapponese. 

Ma scopriamo più nel dettaglio il profilo della scrittrice!

Nasce a Tokyo nel 1970 e comincia a scrivere fin da bambina. Nel periodo del liceo, riceve il prestigioso Premio della ventiseiesima edizione dei quaderni di poesia contemporanea (Gendaishi techō shō). Successivamente intraprende gli studi universitari all’Università di Waseda a Tokyo, specializzandosi in letteratura e lingua francese: questa diventerà la ragione dei suoi continui spostamenti tra Francia e Giappone.

Infatti, nel 1996 ottiene all’università di Tokyo un dottorato in Letteratura comparata e Studi culturali e decide, poco dopo, di dedicarsi agli studi di storia dell’arte alla Sorbonne, a Parigi. E nel 1997 si stabilisce definitivamente nella capitale francese dove vive – tra arte, moda, gastronomia e cultura – da più di vent’anni.

Durante questo denso periodo di formazione, sia professionale che personale, comincia in parallelo a dedicarsi alla sua attività di poetessa in lingua giapponese e ad auto-tradursi in francese, e nel 2012 riceve l’ordine Chevalière de l’Ordre des Arts et des Lettres (Ordine delle Arti e delle Lettere).

 

Dalla sua biografia traspare chiaramente l’amore di Ryōko Sekiguchi per la scoperta, che la porta a viaggiare e a visitare i luoghi più disparati, e studiare e approfondire realtà e culture differenti. Il suo amore per il francese è evidente, tanto che la sua traduzione di Solibo Magnifique di Patrick Chamoiseau è stata premiata con il Best Translation Award giapponese.

Numerose le sue opere e altrettanto sono i premi vinti dalla scrittrice: fra le prime ricordiamo il meraviglioso poema narrativo intitolato Futatsu no ichiba, futatabi (2001) nella versione giapponese e Deux marchés, de nouveau (2005, Due mercati, di nuovo) nella versione francese; oppure il recente saggio 961 heures à Beyrouth (2022, 961 ore a Beirut) che ha ricevuto la menzione d’onore al Prix France Liban e vinto il Grand Prix SGDL de la Non-Fiction.

Negli ultimi anni Ryōko Sekiguchi ha deciso di sperimentare e concentrarsi su altri tipi di scrittura, nata da alcune riflessioni che spesso si concentrano, anche se non in maniera esclusiva, sulla cultura culinaria giapponese o di altri paesi. L’opera Nagori. La nostalgia della stagione che ci ha appena lasciato (2018), recentemente tradotta in italiano da Giampiero Massano per Einaudi (2022), è un esempio di come la scrittrice riesca a trasmettere ai lettori le più celate particolarità della cultura giapponese: ci porta alla scoperta di uno scenario insolito che ruota attorno alla gastronomia e all’arte.

Grazie a questo libro, alla sua attenzione per il dettaglio, alla sua curiosità, Ryōko Sekiguchi ha vinto in Francia il Coup de coeur du jury du Prix Rungis des Gourmets e il Prix Mange, Livre.

Spesso i miei libri sul gusto scaturiscono da una frase, da una parola che mi arriva all’orecchio. Questa volta, è stata la frase di uno chef a darmi l’idea di scrivere un libro sulle stagioni.

La scrittrice è costantemente alla ricerca di risposte e di nuove lezioni di vita: fin dal primo momento rimane ammaliata dalle spettacolari “lezioni di cucina” dello chef Mitsuo Fujinaga, al quale rivolge una serie di domande, soprattutto dopo che le viene servito al tavolo un piatto di verdure, ormai fuori stagione.

Ma cosa vuol dire, per l’appunto, un prodotto “di stagione”? Il prodotto cosí come lo troviamo al mercato? Quando compare per la prima volta nell’arco dell’anno; e in quale regione? Qual è la distanza che un frutto può percorrere perché si possa considerare «di stagione»? […]

Ryōko Sekiguchi descrive i tre termini utilizzati in Giappone per descrivere la stagionalità di un prodotto: hashiri, sakari, nagori. I primi due si riferiscono a concetti riconosciuti da numerose culture, stanno a significare “primizia” e “piena stagione”. Nagori, invece, è un concetto indescrivibile, che probabilmente si collega alla definizione di “retro-stagione”.

Tutto parte da una riflessione sulle stagioni che sfocia poi in un’altra direzione: scavare dentro di noi e scoprire un nuovo universo, fatto di istanti, aspettative, malinconia.

Un frutto di nagori, per esempio, è un frutto di fine stagione, un frutto sovramaturato. Un frutto che ci saluta e che ritroviamo l’anno successivo, un frutto di cui abbiamo nostalgia.

Nagori, quindi, è sinonimo di nostalgia, di un qualcosa che ci evoca ricordi: il ripensare a una persona, a una situazione, a un oggetto a noi caro, o addirittura a un periodo ormai lontano.

La lettura risulta scorrevole perché la scrittrice riesce a spiegare con leggerezza le sue considerazioni sul termine nagori. Ma questo suo impegno a utilizzare parole semplici si sovrappone al desiderio di esporre, con estrema poetica, concetti più intrecciati e profondi: il suo obiettivo è quello di raccontare attraverso la cultura del cibo, il gusto, l’olfatto, la vista, la contrapposizione tra il momento e l’eterno. Il concetto di nagori diviene un punto di partenza: da qui si inizia a pensare e a riconsiderare la relazione che possiamo instaurare con il tempo, in questo caso le stagioni.

L’autrice ripercorre momenti personali di vita dal forte impatto emotivo – i suoi viaggi, le sue esperienze gastronomiche, gli usi e le abitudini dei paesi visitati – che si rifanno, molto spesso, ai termini hashiri, sakari, nagori. Divide le stagioni, ne fa delle porzioni, le categorizza. Ma attraverso quale metodo? Avremo mai l’opportunità di sapere con certezza quante stagioni possono esserci in un preciso arco temporale, dentro un particolare piatto culinario oppure in uno specifico momento della nostra esistenza?

Quei fiori d’arancio, quei pomodori e quelle foglie di salvia li annuseremo e li mangeremo. Faranno parte di noi. O ne faremo delle conserve per preservarne l’essenza. Saremo nostalgici quando se ne andranno insieme alla stagione, ma li ritroveremo ogni anno. Fino al momento in cui sarà il nostro turno di aprire definitivamente l’ultima porta della vita.

 

È stupefacente come a partire da un termine, Ryōko Sekiguchi riesca a consigliare e chiedere ai lettori di soffermarsi sul proprio legame con il tempo che corre incessantemente, mentre rimaniamo immobili tra nostalgia e speranza. Un libro che parla, ascolta, stimola l’empatia e, anche descrivendo uno stato d’animo fermo al rimpianto di ciò che è trascorso, si concretizza in un’armoniosa serenità.

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