Distopia e Media Mix: Danganronpa fra giochi, anime e light novel

Distopia e Media Mix: Danganronpa fra giochi, anime e light novel

Danganronpa è uno dei franchise giapponesi a carattere distopico di maggior successo degli ultimi quindici anni, la cui popolarità si ramifica attraverso vari media, dall’anime alla light novel, affiancando la semplice trasposizione all’integrazione di nuovi elementi e nuove storie all’interno del canone narrativo.

Quando si parla di distopia nel videogioco giapponese non si può non menzionare la serie Danganronpa, franchise multimediale nato nel 2010 con l’uscita di Danganronpa: kibō no gakuen to zetsubō no kōkōsei per PlayStation Portable, arrivato poi in Europa e in America nel 2014 col titolo Danganronpa: Trigger Happy Havoc.

L’ambientazione e i temi del gioco, un ibrido fra una visual novel investigativa e un rhythm game, appaiono sin dai primi momenti come un riferimento al classico distopico Battle Royale di Kōshun Takami. La storia si apre infatti con Makoto Naegi, il protagonista, che si risveglia in un’aula abbandonata e con le finestre sbarrate, proprio come accade in Battle Royale.

Esplorando la scuola Makoto si imbatterà in altri quattordici studenti, ognuno dotato di un talento: una bravissima investigatrice, un’ottima scrittrice, un chiaroveggente e così via. Ciascuno di loro è stato selezionato, in virtù delle proprie straordinarie capacità, per entrare a far parte della Hope’s Peak Academy, famosa istituzione dove si formano le menti più brillanti del Giappone, destinate a diventare le personalità più influenti del paese. Tutti quanti però, una volta giunti alla prestigiosa scuola, hanno perso i sensi come Makoto e si sono ritrovati in questo edificio scolastico in cui ogni via di fuga sembra sbarrata o inaccessibile. Presto si scoprirà che l’invito all’accademia altro non è che l’incipit di un koroshiai, un killing game, diretto dal fantomatico preside della scuola Monokuma, un pupazzo parlante.

Le regole di questo efferato gioco sono le seguenti: l’unico modo per ottenere la propria libertà è commettere un omicidio senza essere scoperti; ogni volta che qualcuno viene ucciso, si tiene un processo di classe in cui tutti gli studenti cercano di trovare il colpevole. Se ci riescono, il gioco può continuare; se il colpevole la fa franca, invece, gli altri studenti vengono uccisi da Monokuma e l’assassino può riottenere la sua libertà.

Man mano che si andrà avanti col koroshiai sempre più indizi porteranno gli studenti a capire che, al di fuori dell’accademia, ha avuto luogo un conflitto fra i sostenitori della fazione cosiddetta della Speranza e i suoi oppositori, esponenti del gruppo detto della Disperazione. Tale guerra è stata scatenata da un incidente, definito come la più grande e terribile tragedia della storia, di cui però i protagonisti non hanno memoria.

Solo alla fine si scoprirà che gli allievi della Hope Peak’s Academy, ritenuti dalla popolazione del Giappone e di tutto il mondo il simbolo della speranza e del futuro, sono stati rapiti dalle forze della Disperazione, uscite vittoriose dal conflitto, allo scopo di costringerli a uccidersi a vicenda. Ogni singolo momento del gioco viene trasmesso in mondovisione, così da annientare il più piccolo frammento di speranza rimasto in un mondo dove già regnava il disordine e l’anarchia.

Junko Enoshima, l’incarnazione della Disperazione e antagonista del primo gioco

La serie, nata come videogioco, si è subito distinta per la sua natura pop e transmediale. Danganronpa: Trigger Happy Havoc pullula infatti di riferimenti ad anime, manga, film e show televisivi del periodo e non, soprattutto nella forma di oggetti collezionabili da regalare ai personaggi per aumentare l’affinità con loro e sbloccare così scene extra che li coinvolgono.

Questi regali si ottengono spendendo la moneta del gioco in un gacha game, la MonoMonoMachine. Si può ottenere veramente di tutto: dai guantoni appartenenti a Joe Yabuki di Rocky Joe alla sciarpa di Kamen Rider, dalla spada Zantetsuken di Goemon di Lupin III all’arco e alle frecce che donano il potere dello Stand provenienti da Le bizzarre avventure di Jojo.

Il gioco è stato anche trasposto in un anime, distribuito in Italia in versione originale sottotitolata da Yamato Video. Si tratta di una trasposizione fedele degli eventi del gioco, che non comporta stravolgimenti della trama o grandi adattamenti. Oltre all’anime, sono uscite tre light novel incentrate sulle singole storie e avventure di alcuni dei personaggi.
Con l’uscita nel 2012 del sequel, Sūpā danganronpa tsū: sayonara zetsubō gakuen, arrivato da noi col titolo Danganronpa 2: Goodbye Despair nel 2014, la natura transmediale di questa serie è stata ancor più amplificata. Il gioco, che presenta un nuovo killing game con un nuovo cast, ha infatti al suo interno una vera e propria light novel in formato elettronico, sbloccabile al completamento del gioco, che narra una versione alternativa degli eventi del prequel.

La serie è poi continuata spostandosi temporaneamente su una nuova piattaforma mediatica di riferimento: se prima infatti l’anime e gli altri media avevano avuto un ruolo ancillare nel franchise, che si sviluppava principalmente attorno ai videogiochi, l’uscita di Danganronpa 3: The End of Hope’s Peak Academy ha cambiato le carte in tavola. Si tratta di un anime, diviso in due archi narrativi, che si configura come un vero e proprio sequel dei giochi, concludendo la trama iniziata con Danganronpa: Trigger Happy Havoc e Danganronpa 2: Goodbye Despair. In Italia è stato anch’esso pubblicato in lingua originale con i sottotitoli da Yamato Video.

Il concetto di Media Mix, però, trova il suo apice nell’ultimo capitolo della serie, che ritorna a essere un videogioco: Nyū danganronpa V3: minna no koroshiai shingakki, uscito in Giappone nel gennaio 2017 e noto in Europa e in America come Danganronpa V3: Killing Harmony.


Se nei giochi precedenti gli aspetti transmediali e metatestuali erano ben presenti ma sempre esterni alla narrazione, in questo gioco assumono un ruolo centrale, specialmente sul finale: ai protagonisti dell’ultimo koroshiai viene infatti rivelato che non sono altro che personaggi fittizi, creati con il solo scopo di intrattenere coloro che stanno al di là delle telecamere. In altre parole, i veri carnefici sarebbero i fruitori del videogame, che costringono i protagonisti a un circolo vizioso di perenne tormento.

I protagonisti sono quindi personaggi con ricordi artificiali, inventati di sana pianta, che esistono solo per soddisfare il desiderio del pubblico per nuove storie e personalità. La loro distopia è il Media Mix, è il mondo dei contenuti, quello cucito loro addosso dagli sviluppatori e da noi giocatori. Il rivendicare un loro spazio, un loro diritto a esistere e a emanciparsi dal ruolo di mero kyara per diventare quanto più reali possibile diventa quindi il tema centrale dell’arco conclusivo del gioco, e probabilmente dell’intera serie.