E se non riuscissimo a salvare il futuro? Gli ultimi bambini di Tokyo di Tawada Yoko

E se non riuscissimo a salvare il futuro? Gli ultimi bambini di Tokyo di Tawada Yoko

E se il disastro di Fukushima avesse portato ad un fallout nucleare e l’umanità avesse fallito nel preservare il presente? Tawada Yōko ci porta in una distopia non così distante da noi, uno dei nostri ‘futuri possibili’ dove i bambini vivono una nuova normalità, la loro ultima, e gli anziani soffrono nel ricordo di ciò che è stato perso.

La casa editrice Atmosphere Libri ci delizia con una nuova distopia intitolata Gli ultimi bambini di Tokyo (in originale 献灯使 Kentōshi) di Tawada Yōko, a cura di Veronica De Pieri. In questo romanzo Tawada, già nota per la sua dedizione alla tematica del nucleare, esplorata anche nel precedente racconto lungo Fushi no shima (不死の島, “L’isola della vita eterna”), ci propone una realtà possibile, un mondo a seguito di un fallout nucleare. Non è chiaro se sia la conseguenza dell’evento di Fukushima accaduto nel 2011 o di un altro disastro, tuttavia la ‘nuova’ quotidianità che l’autrice ci racconta appare in bilico tra il reale e la finzione, frutto da una catastrofe così prossimale che il suo immaginario futuro è fin troppo vicino a noi.

Le vicende di Yoshirō, parte della generazione che ha conosciuto la ricchezza del mondo e che ha perso la capacità di morire, e del pronipote Mumei, fragile e senza consapevolezza del mondo prima del disastro, si aprono in un Giappone sconvolto a seguito di una calamità naturale. La degradazione e distruzione sono visibili soprattutto nelle giovani vite dei bambini che come Mumei vivono in condizioni di salute precarie, e soffrono di una malattia che ricorda le conseguenze della contaminazione radioattiva. 

Simile ad un uccellino dal corpo magrolino che gonfia il petto e apre le braccia come a imitare il battito d’ali, il bambino fatica a mangiare a causa dei denti che cadono, e difficilmente riesce a vestirsi per andare a scuola. Questo sembra essere il futuro, l’ultima generazione di Tōkyō che si spegne sotto gli occhi di chi l’ha preceduta. 

Guardando il nipote, Yoshirō soffre. Pena e compassione abitano il cuore di chi ricorda il passato, una generazione che ha permesso la distruzione dell’ecosistema e che ora cerca in tutti i modi di redimersi attraverso la cura di queste fragili creature. Eppure la vita è presente e continua a manifestarsi, e la vediamo nella vivacità e nell’ingenuità di Mumei, il quale non comprende fino in fondo né il dolore che prova né i sentimenti del bisnonno. Il nuovo mondo di Yoshirō è l’unico esistente per il nipote.

 

Gli ultimi bambini di Tōkyō è una distopia in grado di far riflettere su diverse problematiche in evoluzione e vicine a noi. Nel mondo abitato da Yoshirō e Mumei gli animali selvatici si sono quasi estinti, solo qualche cane o gatto da compagnia è sopravvissuto, la flora è cambiata drasticamente e con essa anche le abitudini alimentari della popolazione: la frutta è diventata ancora più preziosa e in molte aree del paese esistono divieti sul trasporto di generi alimentari.

Nell’area di Tōkyō, gli sconvolgimenti hanno portato la popolazione a inserire nella dieta cibi prima scartati perché poco nutrienti o non appetibili. Il riso stesso, cuore della dieta giapponese, viene considerato un lusso e sostituito da altri cereali meno nobili. Il mondo di Tawada è chiuso in un apparente tentativo di salvare ciò che è possibile, una mera illusione del passato. 

Questa chiusura si riflette nella vita della società stessa. Le relazioni del Giappone con altri paesi sono svanite, dando vita a un nuovo sakoku (cioè quel periodo storico di chiusura che ha caratterizzato lo shogunato Tokugawa dal 1641 al 1853) e rendendo insostenibile la vita di nella capitale. 

A causa dell’inquinamento atmosferico parte della popolazione è emigrata in altre aree del Giappone, determinando fenomeni di disgregazione sociale e isolamento a scopo precauzionale di alcune prefetture. L’isola di Okinawa apre i confini solo alle donne, in quanto teme il sovrappopolamento di lavoratori maschi, ma è pronta a revocare il trasferimento a coloro che si rifiutano di lavorare nelle piantagioni. La prefettura dell’Hokkaidō invece respinge tutti i migranti che vogliono approdare sull’isola per evitare che l’afflusso di nuove persone distrugga il delicato equilibrio fra uomo e natura, ancora intatto in quelle zone. 

 

 

Tra il caos, la sofferenza di Yoshirō e i bisogni di Mumei, come sono cambiati i rapporti interpersonali, le relazioni, l’affetto? Amana, figlia di Yoshirō, è emigrata ad Okinawa dove lavora in una piantagione, mantenendo pochi contatti con la sua famiglia, mentre suo figlio, il padre di Mumei, appare come una persona incostante che alla morte della moglie affonda nella dipendenza dal gioco d’azzardo, visitando ciclicamente centri di recupero. Tōkyō è una città di ultracentenari, figli di un mondo che non esiste più e condannati all’immortalità, e di bambini lasciati alle loro cure. Tra incostanza e ricerca di una strada diversa, Amana e suo figlio rappresentano chi ha scelto l’abbandono del proprio mondo, una fuga dalle responsabilità e dalla nuova realtà.

Nel creare un mondo frammentato, la scrittura di Tawada evidenzia una nuova, precaria realtà. Il lettore resta in bilico sul filo di un equilibrio ormai spezzato, in una società dominata da una nuova natura caotica, circondato dalla malattia e da disperati tentativi di sopravvivenza. 

Attraverso Gli ultimi bambini di Tokyo, Tawada ci mette davanti a una dura verità, ovvero al rischio sempre più alto di lasciare un modo malato in eredità ad una ignara generazione futura che stiamo correndo. Questi ultimi bambini di Tokyo saranno l’ultima generazione prima dell’estinzione o l’inizio di un nuovo mondo? Una lettura distopica che impone una riflessione su cosa possiamo fare qui ed ora per salvare il pianeta e il (non solo nostro) futuro.