“I gatti di Shinjuku” di Durian Sukegawa e il Golden Gai: viaggio nostalgico in una Tokyo che rischia di scomparire

“I gatti di Shinjuku” di Durian Sukegawa e il Golden Gai: viaggio nostalgico in una Tokyo che rischia di scomparire

di Ale di Vita

“Di grattacieli ce ne sono già tanti, no? Golden Gai invece è una specie di deposito di cultura del dopoguerra: penso che se sparisse non ci sarebbe più modo di ricostruirlo.” Così viene descritto la famosa strada da Yama, protagonista de I gatti di Shinjuku di Durian Sukegawa, un breve romanzo di meno di duecento pagine ma pieno zeppo di emozioni, colpi di scena e, in particolare, di emozioni nostalgiche di ogni sorta.

Ci troviamo a Tokyo all’inizio degli anni ‘90, una tempistica che non viene esplicitata dall’autore, ma che viene resa chiara varie volte nella storia da tanti piccoli elementi come la mancanza di telefoni cellulari o Internet. Il nostro protagonista è Yamazaki Seita, un aspirante sceneggiatore bloccato a fare l’autore per quiz televisivi, la cui vita abbastanza tranquilla cambia quando inizia a frequentare un locale chiamato “Kalinka” del soffocante Golden Gai. Yamazaki fa qui la conoscenza della variegata fauna di persone e animali che questo minuscolo ritrovo ospita: oltre a un complesso e variopinto cast di personaggi, i veri protagonisti di quest’opera saranno i gatti, inizialmente presentati come un semplice gioco su cui i clienti del Kalinka possono scommettere un bicchiere, ma che andando avanti nella trama assumeranno un ruolo diverso e centrale.

La storia si concentra sul rapporto tra Yama (soprannome del nostro protagonista), e Yume, la ragazza che si trova dietro il bancone al Kalinka; Yama viene ben presto colpito dai modi di fare e dalla passione che la ragazza dimostra verso i vari gatti del quartiere, dimostrata anche dal “ritratto di famiglia” attaccato al bar, e decide di chiederle di uscire.

La loro storia d’amore si evolve con la rapidità di un incendio, tra serate passate nel rudere di un Hotel abbandonato sopra il Kalinka, a leggersi a vicenda poesie, tutte dedicate ai gatti; ma il passato di Yume verrà ben presto a galla, mettendo a rischio il loro rapporto, le loro vite e persino il loro amatissimo locale.

Protagonista a tutti gli effetti è anche il luogo in cui i fatti si svolgono, ovvero il distretto di Shinjuku Golden Gai (新宿ゴールデン街): una minuscola area, circoscritta ad appena sei strade, collegate tra di esse da vicoli larghi abbastanza per una persona sola, ma che conta al giorno d’oggi circa duecento bar. Un tempo famoso come quartiere a luci rosse, dopo la criminalizzazione della prostituzione alla fine degli anni Cinquanta la zona si è popolata da bar slegati da quel giro di affari, fino a rimanere oggi una delle poche bolle isolate dove si può ancora avere un’idea della Tokyo pre boom economico. La speculazione di alcuni spietati uomini d’affari dell’industria edilizia che vogliono rinnovare completamente il quartiere è un punto centrale nella trama, arrivando ad avere conseguenze devastanti per la psiche del protagonista. Questo romanzo riesce a trattare non solo di temi delicati come i traumi personali dei suoi vari protagonisti, ma anche di temi sociali del periodo come la gentrificazione.

Gentrificazione è il termine usato per definire un preciso fenomeno che da qualche anno a questa parte è sempre più presente non solo nel nostro vocabolario ma anche nella nostra vita quotidiana. La parola è la traduzione italiana di gentrification, che a sua volta deriva dal termine gentry, che indica la medio alta borghesia inglese. In poche parole, è il processo per il quale nelle grandi metropoli, come Tokyo in questo caso, vecchi quartieri spesso ricchi di storia e sottoculture vengono modernizzati, riempiti di palazzi nuovi, appartamenti più lussuosi e servizi per la comunità.

Ad un primo impatto può sembrare un qualcosa di perfettamente naturale e positivo che crea nuovi spazi e migliora le condizioni di chi già abita nel quartiere, ma non è tutto oro quello che luccica. Un effetto spesso temuto è il completo stravolgimento dell’identità del quartiere, la cui storia viene interamente cambiata o nel peggiore dei casi eliminata, cancellando punti di riferimento importanti o soffocandoli in mezzo a palazzi e grattacieli. Un’altra conseguenza molto comune è lo svuotamento del quartiere: quelli che prima erano quartieri popolari perdono i loro abitanti originali e le comunità storiche che lo popolavano, che non potendo più sostenere i costi e vengono quindi costrette a spostarsi nelle periferie o direttamente in città meno costose.

Il Golden Gai, quindi, rimane un’ultima roccaforte della vecchia Tokyo nascosta tra i mastodontici mostri di acciaio e vetro che compongono la città, anche se neanche il quartiere tanto amato dall’autore de I gatti di Shinjuku si è salvato dall’avanzare del tempo. Nonostante nell’estetica sia praticamente rimasto agli anni Novanta, visitandolo oggi l’impressione che si ha sarebbe molto diversa:  ormai pochi clienti abituali vivono vite da ‘gatti randagi’ come quelli descritti dallo scrittore, tantissimi ormai i turisti che vogliono vivere un quartiere che ormai non esistono più a qualsiasi prezzo.

Questo processo era già avvenuto in occasione delle olimpiadi di Tokyo 1964 per poi ripetersi con quelle del 2020, trasformando in entrambi i casi la città in una meta turistica con gli abitanti delle zone attorno agli stadi e infrastrutture sfrattati dalle proprie case, un argomento trattato anche nel libro Tokyo. Stazione Ueno di Yū Miri.

 

I gatti di Shinjuku di Durian Sukegawa offre una visione narrativa importante attraverso cui esaminare il fenomeno della gentrificazione. Le storie dei gatti e degli habitué del Kalinka sono intrecciate a queste dinamiche di cambiamento urbano, che in un mondo ideale dovrebbero andare di pari passo per migliorare le condizioni di vita di tutti, mantenendo le loro identità uniche.