Geisha, Maiko, Gion e il fenomeno dello “overtourism”
Strade lastricate di lanterne rosse dove le maiko camminano dolcemente vicino a case in stile tradizionale: quando si sente la parola “Giappone”, non pochi immaginano queste scene iconiche, insieme al grande incrocio di Shibuya e alle pubblicità al neon di Shinjuku. L’origine di queste scene così pittoresche in particolare è Kyoto, e nello specifico il quartiere di Gion. Esploriamo insieme la sua storia e cultura.
Gion è uno hanamachi, ovvero una quartiere in cui tradizionalmente si concentra il lavoro delle geisha e delle maiko, situato nel centro della città di Kyoto. In questa area si trovano gli okiya (chiamati anche yakata nel dialetto locale): edifici dove le maiko vengono addestrate e che servono anche da “ufficio” sia per le geisha che per le novizie, oltre agli ochaya (casa da tè) o ryōtei (ristorante giapponese di lusso), dove le giovani apprendiste vengono mandate per intrattenere i loro ospiti.
L’origine dell’odierna Gion si può rintracciare nell’evoluzione degli ochaya: da negozi che inizialmente servivano tè e dolciumi ai pellegrini provenienti da tutto il Giappone a luoghi d’intrattenimento con spettacoli di danza e musica, molte di queste sale da tè sono state costruite proprio davanti al Santuario di Yasaka (conosciuto anche come il Santuario di Gion) nel XVII secolo. Successivamente, oltre al cibo hanno iniziato a offrire spettacoli di danza e musica per intrattenere i propri clienti, e l’area in cui si riunivano le ochaya finì per trasformarsi in quello che noi ora conosciamo come hanamachi. Ancora ai giorni nostri le strade fiancheggiate da ochaya e ryōtei sono state accuratamente conservate, così come l’atmosfera dello hanamachi e del Santuario di Yasaka.
Maiko e geiko. Da Irasutoya.
Se Tokyo più di tutto fa pensare al “Giappone pop e moderno”, Kyoto è invece il cuore pulsante della cultura giapponese tradizionale in tutte le sue minuziose sfaccettature – basti pensare alla differenza tra maiko, geisha e geiko: il termine geisha è usato soprattutto a Tokyo, mentre geiko è tipico di Kyoto, mentre maiko indica una apprendista che sta ancora perfezionando le sue abilità nel canto e nella danza. Ci sono anche delle importanti differenze nell’abbigliamento e nel trucco: se la maiko indossa una lunga fascia per kimono e una splendida forcina ornamentale sui capelli per apparire più carina, una geiko indossa invece un kimono più semplice o con meno decorazioni, sfoggiando dei capi più maturi e modesti.
La bellezza tradizionale del Giappone affascina molte persone e molte opere anche contemporanee hanno preso come soggetto proprio le maiko e lo hanamachi di Kyoto, tra cui il manga Maiko-san chi no makanai-san (Koyama Aiko, 2017-).
La copertina di Maiko-san chi no makanai-san vol.1, Kōdansha.
La protagonista, Kiyo, è una ragazza di 16 anni che lavora come makanai-san (il makanai è un piatto preparato da un negozio per i suoi lavoratori) in okiya, dove vivono principalmente delle maiko.
Attraverso il cibo, il manga racconta non solo l’immagine tipica che si ha delle maiko, ma anche la loro vita da ragazze adolescenti. L’opera descrive nei dettagli la cucina casalinga giapponese, come l’oyakodon e il kara’age, nonché i legami che nascono tra le persone attraverso questi piatti. Viene mostrata la cultura tipica di Kyoto, che comprende anche la vita delle maiko, con umorismo: non solo dipinge la bellezza estetica delle ragazze, ma abbiamo scenette di vita quotidiana – come alcune di loro che lamentano il fatto di non poter entrare liberamente in un convinience store per mangiare qualcosa come tutte le altre adolescenti, date le loro acconciature appariscenti che rischierebbero di metterle al centro dell’attenzione.
Poster di The Makanai, versione giapponese, Da Netflix.
Inoltre, nel 2023 è stato pubblicato su Netflix una serie in nove puntate dal nome Makanai, interamente diretto da Kore’eda Hirokazu – regista acclamato di film come Un affare di famiglia (2018).
Proprio per queste sue peculiarità, Gion è una delle mete turistiche più popolari di Kyoto. Negli ultimi anni il numero di viaggiatori provenienti dall’estero ha continuato a crescere, e di recente il numero eccessivo di turisti ha iniziato a causare dei problemi, portando a soluzioni estreme. Il divieto di accesso ai turisti nei vicoli della zona di Gion, infatti, avrà forse scioccato chi è già stato a Kyoto o magari sta pensando di andarci. A questo proposito, il Sankei Shimbun riporta:
“[…] Il consiglio locale dell’area di Gion, a Kyoto, ha deciso questo mese di appendere cartelli che vietano il passaggio in alcune strade e di imporre una multa di 10.000 yen ai trasgressori. […] Il consiglio è particolarmente preoccupato per i continui pedinamenti di geiko e maiko, spesso fotografate di nascosto. Ci sono state anche segnalazioni riguardo a persone che hanno inseguito le geiko e maiko all’interno di strade private, accerchiandole.”
(The Sankei Shimbun, 2024/04/08)
Ma il problema non si ferma al disturbare gli abitanti del posto. Ormai, le maiko che si vedono per le strade di Gion si possono dividere a tutti gli effetti in due tipologie: le vere professioniste, e i turisti che “impersonano” una maiko. Le prime le si trova nel pieno del proprio lavoro e si lasciano fotografare da occhi indiscreti per pura generosità – questo perché il loro compito è anche quello di proteggere e conservare l’immagine di Kyoto e Gion. Le seconde, in quanto turiste, non sono “vere” maiko, ma contribuiscono a loro modo a preservare l’atmosfera antica di Kyoto. Proprio per questo in città ci sono molti studi fotografici che offrono proprio delle esperienze “da maiko”. Tuttavia, fotografare queste ragazze senza il loro permesso è inaccettabile, oltre che una violazione della privacy.
Maiko che cammina per strada, Da Unsplash.
Gion è diventata così popolare da far dimenticare a chi la visita per una sola giornata che si tratta di un’area in cui la gente del luogo vive davvero e non di un parco divertimenti come Disneyland.
Ma il problema non si ferma al disturbare gli abitanti del posto. Ormai, le maiko che si vedono per le strade di Gion si possono dividere a tutti gli effetti in due tipologie: le vere professioniste, e i turisti che “impersonano” una maiko.
Le prime le si trova nel pieno del proprio lavoro e si lasciano fotografare da occhi indiscreti per pura generosità – questo perché il loro compito è anche quello di proteggere e conservare l’immagine di Kyoto e Gion. Le seconde, in quanto turiste, non sono “vere” maiko, ma contribuiscono a loro modo a preservare l’atmosfera antica di Kyoto. Proprio per questo in città ci sono molti studi fotografici che offrono proprio delle esperienze “da maiko”. Tuttavia, fotografare queste ragazze senza il loro permesso è inaccettabile, oltre che una violazione della privacy.
Si può anche dire che un numero eccessivo di turisti sia in contrasto con la cultura del ichigen-san okotowari (“non si accettano nuovi clienti senza invito”) di Kyoto, ovvero la valorizzazione dei clienti abituali. In origine, solo chi era un cliente abituale poteva frequentare Gion, e i nuovi arrivati dovevano sempre essere presentati da qualcuno già noto ai ristoratori e negozianti: tramite questo rapporto di fiducia si manteneva la sicurezza delle maiko e si poteva preservare l’atmosfera del quartiere.
I turisti sono visitatori temporanei, e dare loro la priorità significa trascurare quei clienti abituali che sostengono a tutti gli effetti la vita di Gion: chiudere alcune strade ai viaggiatori si è trattato quindi di un passo inevitabile per preservare la tradizione e il prestigio dell’area.
Certo, la Kyoto vista dai turisti ha sicuramente un’aria affascinante – ma che dire della Kyoto vissuta dagli abitanti stessi? Ora che gli effetti della pandemia sulle abitudini della popolazione sembrano essere scomparsi e il turismo è in continuo aumento, forse è giunto il momento per la vecchia capitale di riconsiderare ciò che “Kyoto” stessa dovrebbe essere.