Le riviste dello shōjo manga: Nakayoshi, Ribon, Ciao, Margaret

Le riviste dello shōjo manga: Nakayoshi, Ribon, Ciao, Margaret

Quando si parla dello shōjo manga si citano sempre le opere ma quasi mai si ricordano le riviste senza le quali non verrebbero pubblicate. Data la loro importanza abbiamo deciso di dedicare un articolo alle quattro pubblicazioni più iconiche in un mondo fatto di magazine spessi come elenchi del telefono, sperimentazioni e frotte di gadget!

Non solo cuori infranti e maghette

Quando si pensa ai manga e agli anime più famosi la maggior parte degli esempi provengono dal variegato mondo dello shōnen, quindi dalla produzione per adolescenti maschi. I prodotti per ragazze più iconici che vengono in mente sono decisamente meno numerosi e spesso afferiscono a generi specifici come lo slice of life a tema scolastico o il mahō shōjo. L’importanza dello shōjo nella storia del fumetto giapponese, così come durante le cosiddette “ondate” che lo portarono in Italia ed Europa tra gli anni Settanta e Novanta, è però innegabile. Si pensi a opere influenti come Lady Oscar, Sailor Moon o Mila e Shiro. Ciò evidenzia quanto questa produzione non corrisponda a un genere rigidamente definito e che la sua diversicazione renda necessario un approfondimento del vasto universo dello shōjo, con particolare riferimento alle serie pubblicate nel periodo sopra citato sulle principali riviste del target.

Alle radici dello shōjo manga

L’origine dell’immagine stereotipata di questo genere di manga può forse essere rintracciata nella natura propagandistica dei primissimi lavori del target, rivolti alle ragazzine per educarle a diventare perfette ryōsai kenbo (cioè mogli e madri ineccepibili). Questo era il modello cui si voleva a inizio Novecento che tutte le donne si conformassero. Ma non bisogna neanche dimenticare il ruolo avuto dai mangaka maschi negli anni Cinquanta, agli albori dello shōjo manga, nel delinearne i tratti, diffondendo una visione spesso stereotipata della femminilità.

Opera cardine di questa fase è La principessa Zaffiro (Ribon no kishi) di Tezuka Osamu, al quale la Kōdansha chiese di scrivere per la rivista Shōjo Club un’opera che avesse lo stesso successo dei suoi lavori shōnen. Questo fumetto getta molte delle basi della produzione shōjo successiva, mostrando già a metà del secolo le infinite possibilità di ibridazione fra generi, sia in senso narrativo che identitario. Il successo del manga passa anche attraverso una delle prime strategie crossmediali di media mix, ricorrendo al merchandise (con i gadget denominati furoku) e all’adattamento anime, e rendendo così Ribon no kishi una pietra miliare anche dal punto di vista industriale.

Nakayoshi: le molte facce della tradizione

Fra le riviste più longeve (esordisce nel dicembre 1954), Nakayoshi ospita sulle sue pagine una riedizione de La principessa Zaffiro nel corso degli anni Sessanta, rimanendo poi a lungo il simbolo dello shōjo manga più tradizionale. Il che non significa assenza di iniziative crossmediali, dai vari adattamenti alle serie di furoku dati in omaggio coi numeri della rivista, che la rendono leader del settore per molto tempo. Su Nakayoshi esce un altro classico, Candy Candy, esempio di un ulteriore tratto ricorrente dello shōjo tradizionale, ovvero l’ambientazione occidentale e ottocentesca. In una parola, “romantica”.

Questo cliché già nel decennio successivo viene decostruito con Pō no ichizoku di Hagio Moto. Si tratta del primo grande successo della celebre mangaka del Gruppo del 24 (riferimento all’anno di nascita – 1949 -, il ventiquattresimo dell’era Shōwa), che declina il gotico di Edgar Allan Poe in chiave shonen-ai. L’equilibrio tra tradizione e innovazione che Nakayoshi ha rappresentato nel periodo di rinnovamento tra anni Settanta e Ottanta è invece ben incarnato da una delle opere più celebri della “prima ondata”, Attacker You!. Noto in Italia come Mila e Shiro grazie all’anime andato in onda tra 1984 e 1985, è uno shōjo spokon che si muove con eleganza fra i classici problemi di cuore e i desideri di autoaffermazione delle protagoniste.

Ribon: lo shōjo manga tra rivoluzione e conservatorismo

Alludendo forse fin dal nome alla pietra miliare di Tezuka, Ribon, dell’editore Shueisha, fonda il suo successo sulla commistione di elementi tradizionali e innovativi ancor più di Nakyoshi. Oltre a battezzare il genere mahō shōjo con Sally la maga (Mahōtsukai Sarī), uno dei primi manga a ottenere una trasposizione anime già tra 1966 e 1968, la rivista ospita anche le opere d’esordio di Yamagishi Ryōko, un’altra delle riformatrici del Gruppo del 24.

Se la presenza occasionale di fumetti autoriali dai temi più complessi come Shiroi heya no futari e Arabesque può essere reputata un’eccezione rispetto alle convenzioni dello shōjo manga che non ne altera la natura, prova inevitabile della modernizzazione è la presenza di elementi innovativi in opere mainstream. Ne è un ottimo esempio Kodomo no omocha, all’estero conosciuto soprattutto grazie all’anime (Rossana in Italia). Tra le pieghe di uno slice of life comico a tema scolastico si inseriscono tematiche mature come l’abbandono minorile e la depressione, mentre il passaggio dei protagonisti dall’infanzia all’adolescenza viene tratteggiato con intelligenza e complessità.

Ciao: verso il nuovo millennio con le vecchie abitudini

A differenza delle riviste succitate, Ciao esordisce nel pieno della rivoluzione dello shōjo manga, alle porte della sua età dell’oro, gli anni Ottanta. Così sulle sue pagine si alternano fin da subito opere classiche, ad esempio il dramma Alpen Rose, ambientato nella Svizzera degli anni Trenta e Quaranta la cui protagonista è una trovatella smemorata, e storie dai toni più moderni e dalle protagoniste energiche (e a metà tra i ruoli di genere), come lo slice of life spokon Slow Step. Anche i furoku offerti da Ciao si distinguono inizialmente per la loro originalità, essendo di frequente complicati origami da collezione. Ovviamente questo non denota un minore interesse dell’editore Shōgakukan per il media mix tramite merchandise e adattamenti anime.

Insieme a Cutie Honey Flash, ennesima iterazione del franchise di shōnen al femminile creato da Gō Nagai, Ciao pubblica infatti nella seconda metà degli anni Novanta Revolutionary Girl Utena di Saitō Chiho. Quest’ultimo manga fa parte di quello che forse è il più famoso progetto di narrazione transmediale nel Giappone di quegli anni, che propone attraverso i vari media ogni prospettiva possibile su questa anomala storia di “principi” e “principesse” che duellano senza sosta in un’esclusiva accademia.

Margaret: una prospettiva sempre diversa sullo shōjo manga

Il target di Margaret differisce da quello delle altre riviste, rivolgendosi alle adolescenti tout court invece che alle sole ragazze tra 8 e 14 anni, e permettendo quindi alle autrici di affrontare temi più maturi. Per questa ragione non sorprende che alla rivista abbiano contribuito varie esponenti del Gruppo del 24, come Ikeda Riyoko. L’autrice di Lady Oscar (Berusaiyu no bara) ha trattato gli stessi temi di transizione identitaria e di compenetrazione tra storie e Storia anche nelle sue successive opere, pubblicate negli anni Settanta su Margaret, Orpheus e Claudine.

Claudine in particolare esprime al meglio la peculiarità della rivista raccontando, all’interno di una cornice psicoanalitica, la crescita tumultuosa dell’omonimo protagonista, probabilmente il primo transessuale dichiarato della storia del manga. Non si pensi però che questo filone più maturo sia ascrivibile solo al percorso autoriale di Ikeda, dato che il più influente manga shōnen-ai, Zetsuai 1989 di Ozaki Minami, esordisce proprio su Margaret, originando una ampia serie di adattamenti OVA e light novel.

Per quanto motivata dai grandi cambiamenti avvenuti all’interno dello shōjo manga è ovviamente arbitraria la decisione di circoscrivere l’approfondimento ai tre decenni che vanno dal 1970 al 1999. Moltissimi sono i manga che avrebbero meritato una menzione, sia al di fuori che all’interno di questo arco temporale. Confidiamo che questo limite si trasformi in una spinta ad approfondire una produzione di manga che, ad eccezione dei soliti noti, sembra non aver mai goduto del favore toccato allo shōnen mainstream.

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